lunedì 29 giugno 2015

Alcune riflessioni elementari sul diritto alla libertà d'espressione (Chomsky)

Questo intervento del non-revisionista Chomsky apparve come prefazione al Mémoire en défense di Robert Faurisson (1980). Va detto che il grande linguista americano aveva avuto un ripensamento, che però concerneva non la sostanza del suo scritto, ma solo l'opportunità di esso (opportunità nel considerare la quale egli non dava spazio non ne ha mai dato a preoccupazioni relative alla propria persona); ma il ripensamento era tardivo, il libro era già in circolazione. Su questo risvolto, e in generale sulla posizione di Chomsky nei riguardi del revisionismo olocaustico, si veda Pierre Guillaume, Droit et Histoire, La Vieille Taupe, 1986, pp. 152-72. Contro Chomsky entrava subito in azione la macchina del discredito mediatico. Per anni la grande stampa di informazione, specie francese, gli avrebbe inflitto lo status di non-persona. Particolannente scadente la polemica condotta contro di lui, per la penna di Roselllina Balbi, dall'organo magno della borghesia "di sinistra" italiana, "La Repubblica" (10 e 24 febbraio 1981, con lettera di Chomsky il 10).


Le osservazioni che seguono sono talmente banali che credo di dovermene scusare con le persone ragionevoli che le leggeranno. Ma se comunque si trova qualche buon motivo per metterle nero su bianco, e temo che questo sia proprio il caso, esse costituiscono una testimonianza riguardo ad alcuni aspetti importanti della vita culturale contemporanea. Prima di arrivare al tema sul quale mi si chiede un'opinione, sono necessarie due precisazioni. Queste note si pongono entro limiti fondamentali da due punti di vista. Innanzitutto, intendo parlare qui solo di un argomento preciso e particolare, ossia del diritto alla libera espressione delle idee, delle conclusioni e delle convinzioni. Non parlerò assolutamente degli scritti di Robert Faurisson o di quelli critici nei suoi confronti, sui quali non so granché, o dei temi cui si riferiscono, sui quali non ho particolari interpretazioni. In secondo luogo, dovrei rivolgere qualche commento sgradevole (ma meritato) a certi settori dell'intellighenzia francese che hanno dimostrato di non avere alcun rispetto per i fatti o per la ragione, come ho avuto occasione di constatare a mie spese in circostanze su cui non tornerò. Quel che ho da dire non riguarda sicuramente moltissime altre persone che continuano a dar prova d'integrità intellettuale senza il minimo cedimento. Non scenderò in dettagli. Le tendenze di cui parlo sono molto significative e credo che ci si debba preoccupare, ma non vorrei che le mie osservazioni fossero fraintese o applicate fuori dall'ambito in cui sono formulate. Qualche tempo fa mi è stato chiesto di firmare una petizione in difesa della difesa della "libertà di parola e di espressione" di Robert Faurisson. La petizione non faceva alcun cenno al carattere, alla qualità o alla validità delle sue ricerche, ma si richiamava in modo estremamente esplicito alla difesa dei diritti elementari che sono considerati acquisiti nelle società democratiche; essa chiedeva all'Università e alle autorità di "fare tutto il possibile per garantire la sicurezza di Faurisson e il libero esercizio dei suoi diritti legali" ("do everything possible to ensure Faurisson's safety and the free exercise of his legal rights"). L'ho firmata senza esitazioni. Il fatto che abbia firmato quella petizione ha sollevato una tempesta di proteste in Francia. Un ex stalinista, che ha cambiato fede ma non stile intellettuale, ha pubblicato una versione grossolanamente falsificata del testo della petizione stessa, in mezzo ad un fiume di falsità che non meritano commento. Ho imparato a non stupirmi. Sono stato molto più sorpreso leggendo su "Esprit" (settembre 1980) che Pierre Vidal-Naquet considera "scandalosa" la petizione, ricordando in particolare il fatto che io l'abbia firmata. (Non mi lascerò andare a discutere un articolo del direttore della rivista, sempre in quel numero, anch'esso non meritevole di essere commentato, almeno per chi conservi un elementare rispetto per la verità e l'onestà). Vidal-Naquet offre un'unica ragione per definire "scandalosa" la petizione e, con essa, la mia firma: la petizione, egli scrive, presenta le "conclusioni" di Faurisson "come se fossero effettivamente delle scoperte" (p. 52). L'afferinazione di Vidal-Naquet è falsa. La petizione diceva semplicemente che Faurisson aveva reso pubbliche le sue "conclusioni" ("Since he began making his findings public"), il che è indiscutibile, ma non dice o non implica nulla di preciso sul loro valore e non implica nulla sulla loro validità. E' possibile che Vidal-Naquet sia stato indotto in errore dal testo in inglese della petizione; forse ha preso un abbaglio circa il significato del termine "findings". E' ovvio che, se affermo che qualcuno ha presentato le sue conclusioni, non inferisco assolutamente nulla sul loro carattere o sulla loro validità; l'affermazione è assolutamente neutra. Penso che sia stato proprio un semplice abbaglio quello che ha portato Vidal-Naquet a scrivere quel che ha scritto e che, stando così le cose, egli non mancherà di ritirare pubblicamente la sua accusa secondo cui io (e altri come me) avrei fatto qualcosa di "scandaloso" firmando una petizione inoffensiva sui diritti civili, di quelle che tutti noi firmiamo molto spesso. Non faccio riferimenti personali. Supponiamo quindi che un individuo consideri davvero questa petizione "scandalosa", non per una questione d'interpretazione, ma proprio per ciò che dice. Supponiamo che questo tale consideri le idee di Faurisson stupefacenti e addirittura spaventose e che giudichi scandaleso il suo modo di condurre le ricerche. Supponiamo anche che abbia ragione di giungere a tali conclusioni (che abbia o no ragion e non ha la minima importanza in questo contesto). Dobbiamo concludere che il tizio in questione crede che la petizione sia scandalosa e che Faurisson dovrebbe essere davvero cacciato dall'Università, dovrebbe essere perseguitato e addirittura sottoposto a violenze fisiche, ecc. Un simile atteggiamento non è raro. E' tipico, ad esempio, dei comunisti americani e dei loro omologhi di altri paesi. Per coloro che hanno imparato qualcosa dal XVIII secolo (vedi Voltaire), è ovvio, senza nemmeno sognarsi di discuterne, che la difesa del diritto alla libera espressione non si limita alle idee che si approvano, ma che questo diritto dev'essere più vigorosamente sostenuto proprio nel caso di idee che si ritengono più urtanti. Proclamare il diritto di esprimere idee generalmente accettate è quasi privo di significato. Tutto ciò è compreso perfettamente negli Stati Uniti ed ecco perché qui non v'è nulla che assomigli al caso Faurisson. In Francia, dove la tradizione delle libertà civili è lungi dall'essere solidamente radicata e dove tendenze profondamente totalitarie hanno tormentato a lungo l'intellighenzia (si vedano il collaborazionismo, la grande influenza del leninismo e dei suoi voltafaccia, l'aspetto semidelirante della nuova destra intellettuale, ecc.), le cose vanno a quanto pare in modo molto diverso. Per coloro che s'interessano alla situazione della cultura in Francia, il caso Faurisson non è privo d'interesse. Vengono immediatamente alla memoria due esempi. Il primo è questo: ho finnato spesso petizioni, che effettivamente si spingevano molto oltre, a favore di dissidenti russi i cui punti di vista erano spaventosi: partigiani della crudeltà americana nel momento in cui questa si abbatteva sull'Indocina, oppure di una politica favorevole alla guerra nucleare, o di uno sciovinismo religioso che ricordava il Medioevo. Nessuno ha mai sollevato obiezioni. Se qualcuno l'avesse fatto, l'avrei guardato con lo stesso disprezzo che merita il comportamento di quanti denunciano la petizione a favore dei diritti civili di Faurisson, e per le stesse ragioni. Ma quanco dico che, quali che possano essere le sue opinioni, Faurisson ha dei diritti che devono essere garantiti, in Francia si considera la cosa "scandalosa" e si monta tutto un caso. La ragione di questa distinzione è del tutto evidente. Nel caso dei dissidenti russi, lo Stato, anzi i nostri Stati approvano tale sostegno, per motivi che non hanno granché a vedere, inutile dirlo, con un qualche amore per i diritti dell'uomo. Ma, nel caso di Faurisson, la difesa dei suoi diritti non è affatto una dottrina approvata ufficialmente, di modo che vari settori dell'intellighenzia, che adorano intrupparsi e marciare al passo, non provano alcun bisogno di prendere una posizione che invece accettano senza riserve quando si tratti di dissidenti sovietici. Possono operare in Francia fattori diversi: forse un lancinante senso di colpa per comportamenti vergognosi di alcuni sotto il regime di Vichy, l'assenza di proteste contro la guerra in Indocina, l'impatto profondo dello stalinismo e delle dottrine di tipo leninista, il carattere bizzarro e dadaista di certe correnti della vita intellettuale nella Francia del dopoguerra, che paiono ridurre il discorso razionale ad un passatempo strambo e inintellegibile, da ultimo l'antisemitismo che riesplode all'improvviso con violenza. E viene alla mente un secondo esempio. E raro che io parli bene dell'intellighenzia dominante negli Stati Uniti, generalmente simile a quella di altri paesi. E' tuttavia molto significativo confrontare le reazioni francesi al caso Faurisson e il fenomeno identico che abbiamo qui. Negli Stati Uniti, Arthur Butz (che può essere considerato come l'equivalente americano di Faurisson) non è stato sottoposto agli attacchi spietati che sono stati lanciati contro Faurisson. Quando gli storici revisionisti ("no-holocaust") hanno tenuto negli Stati Uniti un grande convegno internazioriale, alcuni mesi fa, non è accaduto nulla di paragonabile all'isteria che in Francia ha circondato il caso Faurisson. Quando il Partito nazista americano organizza una marcia nella città a larga maggioranza ebraica di Skokie (Illinois), cosa che equivale chiaramente ad una provocazione, l'American Civil Liberties Union difende il diritto di manifestazione (facendo evidentemente infuriare il Partito comunista americano). Per quanto sappia, lo stesso avviene in Inghilterra o in Australia, paesi che, come gli Stati Uniti, hanno una viva tradizione di difesa delle libertà. Butz e gli altri sono oggetto di critiche e di condanna (intellettuale) dura, ma senza che si attenti, per quanto mi consti, alle loro libertà. Non c'è affatto bisogno, in questi paesi, di una petizione inoffensiva come quella che si considera "scandalosa" in Francia e se una tale petizione ci fosse stata, essa non sarebbe stata di sicuro attaccata, se non da circoli minuscoli ed insignificanti. Il paragone è illuminante. Bisognerebbe cercare di comprenderlo. Si può forse sostenere la tesi secondo la quale il nazismo e l'antisemitismo sono più pericolosi in Francia. Penso che sia vero, ma che sia proprio una ripercussione degli stessi fattori che hanno spinto al leninismo larghi settori dell'intellighenzia francese, del loro disprezzo per i principi elementari della difesa delle libertà e del fanatismo con il quale sono ora pronti a dar fiato alle trombe della crociata contro il Terzo mondo. Ci sono quindi correnti totalitarie profondamente radicate che emergono in varie forme. Ecco un tema che merita, credo, ancora molta riflessione. Vorrei aggiungere un'osservazione finale riguardo al preteso "antisemitismo" di Faurisson. Notiamo innanzituito che, anche se Faurisson fosse per ipotesi un antisemita scatenato o un filonazista fanatico (e sono accuse contenute in una corrispondenza privata che non sarebbe opportuno citare nei particolari ora), ciò non avrebbe assolutamente alcuna conseguenza sulla legittimità della difesa dei suoi diritti civili. Anzi, renderebbe la loro difesa ancor più imperativa in quanto, ancora una volta, ed è evidente da anni, se non da secoli, a dover essere più strenuamente difeso è proprio il diritto ad esprimere liberamente le idee più spaventose; è troppo facile difendere la libertà d'espressione di coloro che non hanno bisogno di essere difesi. Lasciando da parte questo problema centrale, ci si può chiedere se Faurisson sia veramente un antisemita o un nazista. Come ho detto, non conosco molto bene i suoi lavori. Ma, da quanto ho letto, in gran parte a seguito del tipo di attacchi che gli sono stati lanciati, non vedo alcuna prova che possa appoggiare tali conclusioni. Non trovo prove credibili neppure nei documenti che ho letto al suo riguardo, nei testi pubblicati o nella corrispondenza privata. Per quel che posso giudicare, Faurisson è una specie di liberal relativamente apolitico. Per sostenere questa accusa di antisemitismo, mi hanno riferito che si è ripescata una lettera di Faurisson che alcuni interpretano come contenente delle implicazioni antisemite, risalente all'epoca della guerra d'Algeria. Sono un poco stupito di constatare che persone serie facciano tali accuse (anche in privato) e le considerino sufficienti per bollare qualcuno come antisemita riconosciuto e di lunga data. Nei testi pubblicati, non scorgo nulla che giustifichi queste accuse. Non aggiungerò altro, ma supponiamo di applicare tali procedimenti ad altre persone, domandando loro ad esempio quale sia l'atteggiamento che hanno avuto nei riguardi della guerra francese in Indocina o dello stalinismo. Forse è meglio fermarsi qui.

Cambridge (USA), 11 ottobre 1980

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